Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/198

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gonnelle succinte per non infangarle, le scarpe tutte inzaccherate, i libri sotto il braccio, una scatola di compassi in mano o un rotolo di carta o un cartoccetto con la colazione, portandosi addosso tutto l’umidiccio di quella mattinata piovosa. Le interne erano più quiete, coi loro vestiti bigi bene asciutti, i colletti bianchi e il nastro di velluto nero nei capelli, i libri legati con un laccio o con una stringa di guttaperca: ma Carmela Fiorillo, la simpatica dagli occhi neri e dalla bocca porporina, al solito, perdeva il sangue dal naso; Alessandrina Fraccacreta, la bruttona sentimentale, aveva una flussione all’occhio destro che la rendeva orrenda, malgrado la cipria che adoprava di nascosto, e l’acconciatura di capelli, per cui andava sempre in castigo; Ginevra Barracco si soffiava il naso continuamente, piangendo senza averne la voglia; Giovanna Abbamonte, aveva un panereccio alla mano sinistra, dopo averne avuto uno anche alla mano destra; e tutte le interne avevano l’aria infermiccia, pallida, di ragazze che vivono in un luogo umido, che mangiano male, che dormono col gas acceso. Cantare? Ma nè le esterne, nè le interne avevano voglia di cantare, quella mattina: le esterne già stanche del cammino fatto e della pioggia presa e della melma calpestata; le interne accasciate da quel grande convento di Gesuiti, che filtrava acqua da tutte le mura e che minacciava rovina.

— A noi, signorine! — gridò la De Donato, battendo le palme e intuonando la prima nota.

Distrattamente una cinquantina di alunne seguì