Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/225

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scuola normale femminile 221


le zelanti, ostinate, combinavano di ripetere la lezione di scienze fisiche fra loro; le santarelle contavano di chiacchierare ancora, di miracoli e di conversioni, e le spregiudicate contavano di far colazione, lungamente. Tanto che, rientrate alla mezza in classe, mentre la maestra osservava il lavoro di due o tre, che avevano lo zelo anche per questo, le altre non rivoltarono neppure la tavoletta del banco, dove vi era il cuscinetto di lana verde, per cucire. Caterina Borrelli scriveva; Carolina Mazza affettava, con un temperino, sottilmente, la provola affumicata, distribuendola equamente; Checchina Vetromile aveva arrovesciata la macchina di Atwood, quasi per anatomizzarla; Clemenza Scapolatiello aveva rialzata la manica del suo vestito, per mostrare alle sue amiche un rosarietto delle anime del Purgatorio, che portava sempre al braccio, sotto il gomito. In questo sbandamento generale, un fruscio si udì: le due ispettrici, una contessa gobba e zitellona, una marchesa pedante, dalle lenti sul naso, entrarono con la loro aria glaciale e sdegnosa. Esse compivano quell’ufficio gratuitamente, come se si degnassero di fare la carità della loro assistenza, alle ragazze povere: esse occupavano le loro lunghe giornate vuote, a girare per le scuole, portandovi la superbia dei loro vestiti di seta, dei loro orecchini di brillanti: esse applicavano la loro nullaggine a seccare alunne, professori e maestre con osservazioni saccenti, con dispute bizantine. Erano detestate: perchè non erano nè buone, nè pietose, nè utili a nulla. Ma bisognava fingere di rispettarle, se no, andavano dal provveditore, scrivevano al ministro, mettevano il mondo a soqquadro,