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— Possa passare un angelo e dire amen; ma io ci spero poco, tutto dipende dalla complessione.
— Così si dice, ma chi lo sa? La Roccatagliata, così magra, ne ha forse fatti? —
E mentre così discorrevano, altre signore sopraggiunsero, per la visita di prammatica. Clelia Mesolella con un vestito nuovo e un paio di nuovi orecchini, due grossi smeraldi, Felicetta De Clemente incinta di cinque mesi, Carmela Barbaro a cui l’aria bassa di Santa Maria aveva illanguidito sempre più gli occhi orientali, Lucrezia Sticco-Piccirillo che era venuta apposta da Casapulla: sedute in circolo, attorno al letto, parlando a voce discreta, esse s’intrattenevano di figliuoli, di gravidanza, di casi orrendi e di casi strani, di voghe, di odori, di chirurghi e di levatrici.
Tutte mostravano il più grande interesse a sapere da Rosina, come era andata la cosa: ed ella rifaceva il breve racconto, non aveva sofferto punto, tutto benissimo, il bel maschio aveva fretta di nascere. E le ascoltanti scrollavano il capo, soddisfatte, sorridenti, e l’una dopo l’altra, rinviandosi delicatamente il discorso, narravano ognuna il loro piccolo aneddoto di maternità, e intanto le altre prestavano un’attenzione cortesissima, seguendo tutte le peripezie, facendo qualche breve esclamazione. A qualche asserzione, tutte facevan coro: oppure qualcuna contraddiceva, un’amabile discussione sorgeva.
L’ambiente si empiva di queste voci intenerite, di questi discorsi dolci e gravi, in apparenza frivoli, ma in cui si riassume tutta la vita femminile: queste