Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/274

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Sticco, la sua amica. Veramente anche la biondina Mimì teneva in mano una stella all’uncinetto: ma non lavorava, sorridendo a Federico Mastrocola. La distanza fra la loggetta di Mimì e il granaio di Federico era poca: ambedue sporgevano nel grande orto d’Oliver, tutto verde di alberi di fichi; accanto vi era l’orto delle Tarcagnota, ma le altre due grassone si erano maritate, una a Nola, un’altra a Napoli; la primogenita era morta di parto, tutte le finestre erano sbarrate; sicchè restava solo il balcone di Emma Demartino, donde si poteva vedere l’armeggìo dei due innamorati. Ma la persiana verde non si rialzava mai, la vecchia zitella non si mostrava mai, restava dietro le stecche, a lavorare la calza. E in quella calda pace del pomeriggio estivo, in quel silenzio di provincia dormiente che digerisce i maccheroni, i due innamorati chiacchieravano, sotto la tutela amichevole di Chiarina Oliver, che fingeva di non udire.

— Perchè non sei venuto alla messa, stamattina? — disse la biondina, cercando invano di prendere un’aria severa, mentre gli occhi le brillavano di amore.

— Ho dovuto accompagnare alla stazione le zie Caputo.

— Sono partite?

— Sì: a quest’ora sono già nel ritiro di Mondragone.

— Mi ci voglio ritirare anche io, Federì — esclamò, ridendo, quella gentile.

— Aspetta di avere sessantacinque anni, Mimì, e di non aver più un cane che ti voglia bene. —

Per un momento le mani di Emma Demartino, la