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130 La Conquista di Roma

ducente, non bella: certe sere è irresistibile. Canta benissimo. Talvolta, non spesso, ha dello spirito. Parla troppo. E’ una buona figliuola.»

«Che donna è?» insistette Sangiorgio.

«Che posso dirle?» e si strinse nelle spalle. Non sono giunto a essere suo amante; dipenderà da quella quistione del voi e del Lei

«E si chiama?»

«Donna Elena Fiammanti.»

Erano giunti sul piazzale dell’Accademia di Spagna, deserto in quella rapida caduta di sole invernale.

«Ecco Roma!» disse Giustini, innanzi al parapetto della terrazza. «L’aveva mai vista, tutta, così?»

«No, mai.»

«E’ grande, grande assai,» disse sottovoce il maligno deputato toscano, con una malinconia nell’accento.

«Pare che dorma,» rispose anche sottovoce Sangiorgio, come se parlasse in una chiesa.

«Dormire? Non se ne fidi, non dorme, ella se ne sta quieta e guarda e pensa. Vede laggiù, lontano, a sinistra, quella cupola chiara chiara che si confonde nella bianchezza del cielo? E’