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La Conquista di Roma 239

cario agli Orfanelli, dagli Orfanelli alla Missione, con le mani in tasca, la testa abbassata, camminando presto per combattere l’umidità che gli entrava nelle ossa.

Il portone dell’Albergo Milano che dà sulla piazza si chiuse, dopo l’arrivo dell’ultimo omnibus della stazione: i padrini non discendevano ancora. E lui si seccava di lasciarsi vedere dai deputati che avevano passato la serata alla Camera, e quando qualcuno ne compariva sulla porta, si fermava, o si allontanava colto dall’impazienza. Finalmente Scalìa e Castelforte comparvero sugli scalini: la lunga figura del conte lombardo si delineò accanto a quella più piccola, ma membruta del deputato siciliano. Parlavano fra loro, vivamente, poi scesero e si avviarono verso giù. Sangiorgio li raggiunse correndo:

«Non ho voluto aspettarvi al caffè: è pieno di gente e tutti vogliono sapere e io non voglio aver l’aria di posare,» spiegò lui, ai padrini.

«Avete fatto bene,» disse Scalìa. «Quand’uno deve battersi, è meglio non lasciarsi vedere, per delicatezza. Quel posatore di Oldofredi ha declamato tutta la serata alle Colonne: ora è al tea-