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296 | La Conquista di Roma |
in quella preghiera, le calde lacrime ribelli, tanto tempo frenate, le scesero giù per le guance.
Egli aveva inteso, misticamente, quanto ella domandava al Signore: e quella preghiera funebre, quell’ultimo affanno doloroso, riassunto in una parola, quella richiesta del cristiano agonizzante, erano sgorgate anche da lui, nella musica, nella voluttà triste dell’incenso, nel crepitìo sepolcrale delle fiammelle, nell’ondeggiare vago della luce, in quel cerchio azzurrognolo del velario che parea si muovesse. Nacquero, sgorgarono dal suo cuore virile le frasi di desolazione, che ella aveva proferite: egli volle quello che ella voleva. Un piacere dell’anima, altissimo, si svolgeva da questo desiderio comune: lo spasimo era così acuto, la volontà era così intensamente concentrata in una sola cosa, che la vita parve a lui si moltiplicasse. E quando si volse e la vide piangere, spossata, cedendo all’intenerimento successivo ai grandi piaceri, ai grandi dolori, egli abbassò il capo superbo. In verità, egli piangeva, per amore.
Col viso quasi nascosto da un fascio di rose bianche, con cui ella giocherellava e il cui fresco,