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La Conquista di Roma 311

di essa, il fiume che a Tivoli è così bello, così allegro, così sonante, metteva la larga nota mestissima delle acque correnti.

Allora egli si affacciò dal finestrone a sinistra, sul fiume, guardando l’acqua che correva a valle, rapidamente, per ricongiungersi al Tevere. Qui, si vedeva la Via Nomentana prolungarsi fra la pianura, fare un gomito e scomparire: in mezzo a un campo, una casetta, un tugurio di due stanze, senza soffitto, diruto dalle mura simili a denti spezzati; al gomito della strada, una casetta bianca e pulita, piccolina, l’Osteria dei cacciatori, e di lì un larghissimo prato discendente al fiume.

Qui a valle, di mezzo l’acqua sorgevano dei boschetti di salici, rami nerastri e scarni; una chiatta tenuta per mezzo di una fune a un piuolo di legno conflitto, sulla riva: contro la chiatta, contro i salici, contro la fune, l’acqua si rompeva, gorgogliando.

Nell’ora oscura che discendeva, parea che discendesse anche il cielo. Guardando, con l’ardore concentrato di chi cerca, Sangiorgio vide una carrozza chiusa, ferma presso l’Osteria dei cacciatori, ma era rivolta in modo che non si vedevano nè i cavalli, nè il cocchiere. E poi, di