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340 La Conquista di Roma

fuggita, senza farsi vedere; i suoi nervi si erano placati a poco a poco: i sensi eccitati cadevano in un languore di contemplazione.

Quella castità, quella purezza scendevano su lui, come un soffio fresco a mitigare il calore della passione: penetravano in lui come la benedizione di una carezza tutta innocente, bacio di bimba, mano di sorella, abbraccio affettuoso di amica: s’impossessavano di lui, come un placido fiume di dolcezza dilaga senza rumore e senza disastri e copre le rive.

La febbre dei suoi polsi si era calmata: le vene delle tempie non battevano più precipitosamente, come prima; quel malvagio desiderio brutale era sfinito in una blandizie. E mentre donn’Angelica, ferma al suo posto, si riposava, egli sentì che ella lo guardava: sguardo chiaro e schietto, tutto umido di dolcezza, tutta luce quieta. Invero, per lui, ella era, in quell’ora e per sempre, la celeste Beatrice.

Dalla grande poltrona reale, la sovrana piegava un po’ il capo per discorrere con donna Clara Tasca, che sedeva accanto a lei sullo sgabello, come moglie di un cavaliere dell’Annunziata: l’ardente siciliana dagli occhi vivi spirituali sotto