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La Conquista di Roma 355

e saltò in carrozza: non salutò, non tese la mano, — naturalmente, egli salì in carrozza con lei.

Nulla si dissero: ma lo strascico bianco copriva i piedi e le gambe di Francesco Sangiorgio, empiendo la piccola vettura delle sue onde seriche e candide, e si distingueva, nel breve ambiente, un lievissimo odore di mughetti.

Ella non aveva nulla sul capo, nè una sciarpa, nè un cappuccio, nè un merletto: la testa libera si ergeva dal candore morbido dell’ermellino e nei capelli neri le stelle di diamanti scintillavano. Dalle ampie maniche del mantello le mani uscivano, si abbandonavano sulle ginocchia: una calzata ancora dal guanto di camoscio chiarissimo: l’altra, senza guanto, nuda, con un brillante all’anulare, che scintillava. E nella penombra della carrozza che a mezzo trotto scendeva dal colle del Quirinale alla vecchia Roma, Francesco Sangiorgio guardava ora quel viso soavissimo che un pallore vivo rendeva più affascinante che mai, ora quella piccola mano lasciata con tanto abbandono in grembo, come se una mortale stanchezza l’avesse vinta. Nella dolcezza desiderata e aspettata di quel momento, nella solitudine bizzarra di quel piccolo nido azzurro cupo che riconduceva a