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La Conquista di Roma 33


fosse tagliata con l’ascia, e la barba ispida, di un nero opaco, che si brizzolava presto: e Sangiorgio si levava su, come per corrergli dietro, a raggiungerlo. Ora gli sembrava che fosse il Crispi dal grosso mustacchio bianco, dal viso colorito, simile più a un vecchio generale brontolone, che a un focoso avvocato. L’onorevole Sangiorgio finiva presto di mangiare, ròso dalla impazienza di vedere davvicino questi uomini politici, questi capi parte, e scappava di nuovo a Montecitorio. Ma lì una crescente delusione lo attendeva.

Egli girava dapertutto, cercando il Sella o il Crispi: ma l’aula era vuota e fredda, sotto il lucernario, co’ suoi banchi ancora coperti delle fodere di tela estive, coi suoi tappeti di un color polvere, orlati di azzurro, avendo l’aria di un pozzo profondo e umido, con una luce altissima che vi pioveva, quasi filtrando attraverso un velo d’acqua. Distrattamente egli saliva i cinque scalini che portano al seggio presidenziale, e si fermava un momento, dietro il seggiolone, a guardare i banchi, che stretti, giù, ascendevano verso le tribune, allargandosi; gli veniva una voglia infantile di mettersi a baloccarsi coi bottoni