Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/142

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136 la mano tagliata.

ziosa; la via del Pianto era deserta. Il gobbo levò la sua faccia orribile di mostro verso il delicato volto della fanciulla, e disse:

— Io so dove è vostra madre; ma non ve lo dirò mai. — E si allontanò così rapidamente che sparve in un minuto. Ma nulla poteva rispondergli la fanciulla. Brancolando, ella aveva tentato di attaccarsi alla ringhiera del balcone: ma era caduta riversa, per terra, svenuta.

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Erano le cinque del mattino, quando Rachele Cabib dopo essersi levata dal suo letto e rivestita lentamente, dopo avere staccato dal chiodo, dove era sospeso, il ritratto di sua madre, prese un grande mantello di panno nero e vi si avvolse. Il mantello aveva un cappuccio, egualmente nero, ed ella lo sollevò sulla testa. La notte era profonda, ancora, in quel mese d’inverno. Per un certo tempo, la bellissima ebrea restò ferma in mezzo alla stanza, guardandosi attorno, come se cercasse qualche cosa che avesse obliata. In verità, non portava che un piccolo cofanetto antico, serrato ermeticamente, collocato sotto il suo braccio: lasciava la sua stanzetta in un perfetto ordine, linda, nuda, con qualche cosa di verginale, nel suo aspetto.

Pure, restava ferma, colà. Infine, ci aveva vissuto dieci o dodici anni, si era legata a quelle pareti, a quei pochi mobili, al suo lettuccio, ai suoi pochi libri. Colà aveva pensato, aveva pregato, aveva pianto. Una gran parte dell’anima si era sviluppata bizzarramente in quell’ambiente di solitudine e di povertà. Ella fremeva di tristezza. Ma, ad un tratto, si scosse e fece un atto decisivo, con la testa. Se ne andava.

Prima di uscire, baciò il guanciale su cui aveva dormito ed aveva sognato; baciò l’ovale bianco,