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Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/145

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la mano tagliata. 139

si, prendendo la mano della padrona, per camminare nella oscurità.

— Senti, — disse costei, uscendo dallo stambugio. — Traverseremo la cucina e il salotto, una dietro l’altra, senza parlare, all’oscuro. Discenderemo le scale di casa, anche così. Il portone si può aprire, senza rumore?

— Sì; ma farà rumore, richiudendolo.

— Lo lasceremo aperto. Andiamo.

— Dio ci assista! — disse Rosa, facendosi ancora il segno della croce.

— Dio ci assista, — ripetè Rachele Cabib, segnandosi anche lei.

E come ella aveva detto, Rachele e Rosa attraversarono la casa, lentissimamente, con la più grande cautela, quasi non respirando. Tendevano l’orecchio, verso la camera di Mosè Cabib, ma non ne veniva alcun rumore. Pian pianino discesero la scaletta, una dietro l’altra, soffocando ogni strepito. Ma, all’oscuro, Rosa non ritrovava il catenaccetto del portone. Lo ritrovò, infine, ma esso stridette un poco.

— Dio, Dio! — esclamò Rachele.

— Non si è potuto udire, — mormorò la serva, mentre spalancava il portoncino.

Guardarono nella via. Buio perfetto. Un perfetto deserto. Colà, quattr’ore prima, era risuonata la fiera minaccia di Marcus Henner e la parola rivelatrice: egli conosceva dove fosse la madre di Rachele Cabib, ma costei, ripensando a quel mostro, si rianimò.

— Coraggio, Rosa, fuggiamo, — ella disse, e animosamente si misero l’una sotto il braccio dell’altra.

Non si voltarono neppure a guardare la casa, dove Mosè Cabib dormiva, esausto da quella scena e credendo sua figlia a letto, ancora debole dello svenimento sofferto. Il portoncino restò spalancato.