Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/154

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148 la mano tagliata.

— Ambasciata di massima urgenza, — rispose l’altro.

E, difatti, aveva il viso stralunato.

— Da chi viene questa lettera? — domandò il portinaio, che aveva l’abitudine di fare l’inquisitore.

— Da una donna, da una signora, — disse il servitore evasivamente. — Ma vi assicuro che è una cosa gravissima.

— Salirò con voi, — soggiunse il portinaio.

Ansiose, smorte, le due donne rimasero sole. Si guardavano fra loro, in silenzio, senza osare di esprimere i propri pensieri. Sentivano che qualche cosa di grave era accaduto e non comprendevano altro. Tanto Rachele quanto Rosa sapevano che il conte Luigi Lambertini era lo zio di Ranieri, l’unico parente che gli rimanesse; uno zio che adorava suo nipote, quella lettera così urgente e così grave, a quell’ora, quando Ranieri aveva passata la notte fuori di casa, voleva dir molto. Ma che voleva dire? Sulla sua sedia, sotto quel portone, come una povera pezzente abbandonata, Rachele Cabib, la bellissima ebrea, anelava di segreto dubbio.

Alla fine, il servitore in livrea ridiscese: era solo. Passò ratto, innanzi alle due donne, senza fermarsi: esse non fecero in tempo neppure a chiamarlo, per sapere qualche cosa. E la loro paura crebbe, crebbe ancora.

Poi, dei passi si udirono, al primo piano, e la porta dell’appartamento si chiuse con violenza. Qualcuno scese le scale, accompagnato da qualcun altro: era un signore, non vecchio, vestito di scuro, molto dignitoso all’aspetto. Ma la faccia del gentiluomo era così stravolta, che i suoi lineamenti erano sformati; e il passo di quel robusto uomo, che di poco aveva varcato i cinquant’anni, era incerto. Accanto a lui scendeva il portinaio di casa Lambertini, egualmente turbato nel