Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/232

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226 la mano tagliata.

incomprensibile mi mandava via, molto cortesemente, ma avendomi burlato in pieno. Ripeto, non potevano essere passati che dodici minuti dalla uscita di Ranieri Lambertini e contavo di raggiungerlo al Circolo delle Cacce, per dirgli la mia bizzarra avventura o, piuttosto, la mia banale non avventura. Volevo anche licenziarmi da lui, perchè volevo partire l’indomani per Milano. Uscii nell’anticamera e il solito servo muto m’infilò il paletot, e mi diede il cappello. Strano a dirsi, appena io fui uscito, le porte della villa si serrarono immediatamente e tutti i lumi si spensero. Era l’una dopo mezzanotte. Solo, in capo al vialetto, attaccato al cancello, vi era il lampione di cui ho parlato.

«Avevo indugiato sugli scalini del peristilio, per accendere un sigaro: poi avevo ripreso il viale, guardando in aria, quando inciampai in qualche cosa di nero e caddi lungo su questo qualche cosa, che, subito, nell’ombra, non potetti distinguere.

«Era il corpo di un uomo, disteso, caduto quasi in traverso della mia via: un ubbriaco, uno svenuto, un morto? Ebbi abbastanza presenza di spirito da rialzarmi, da accendere un fiammifero: e vidi un orribile spettacolo. Ranieri Lambertini giaceva esanime, con un viso bianco come la cera; una pozza di sangue circondava le sue spalle, il suo collo, aumentava sempre. Pareva morto. Egli teneva ancora il paletot, i guanti: solo il cappello era rotolato, nella caduta, del resto, nessuna traccia di lotta e un viso composto. Inorridii: ebbi uno schianto terribile, come mai. A quell’ora, in quella via deserta, in quel viale oscuro, in Roma, avere un agonizzante o un morto, nelle braccia, credete, non è una cosa preziosa. Io lo avevo sollevato da terra, un poco. Non pesava, era rigido, e avrei pensato che fosse morto, se non avessi inteso un fievole polso. Che fare? Che fare? Non osavo ri-