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la mano tagliata. | 237 |
«— All’Hôtel d’Europe, in piazza di Spagna, ma non vi rimarrò molto tempo.
«— Contate cambiar albergo? Prendere casa a Roma?
«— Conto partire.
«— Ah! Presto?
«— Volevo andare via domani....
«— Volevate andare via domani? — disse lui, con un altro dei suoi sinistri aggrottamenti di ciglia.
«— Sì, ma mi tratterrò per due o tre giorni, per avere qualche notizia migliore di Ranieri.
«— Andate in su?
«— Sì, in Alta Italia?
«— E all’estero, forse?
«— Forse: secondo il mio capriccio e secondo alcuni fatti miei.
«— Sta bene. Grazie, signor conte.
«— Addio, signor delegato.
«— A rivederci, — mormorò lui, con un tono tanto strano che io ebbi ancora un brivido.
«Uscii da quel salotto, inquetissimo. In anticamera tutto era illuminato e il servo sonnecchiava sopra una panca di legno scolpito. Gli chiesi se potevo vedere il conte Ranieri Lambertini. Andò di là; aspettai un pezzo. Ritornò, accennandomi di entrare per un’altra porta, al lato dove avevano condotto il mio povero amico. Attraversai così tre stanze, al buio quasi, e mi ritrovai in quella dove giaceva il ferito.
«Costui giaceva solo, su quel letto: e giaceva immerso in un torpore affannoso, col capo molto basso, per non provocare emorragia, col petto nudo dove premeva una vescica di ghiaccio. Era acceso nel volto; due macchie rosse e vivide, sui pomelli, indicavano che egli aveva la febbre. Un rantolo gli esciva dal petto e le mani distese sulle bianche coltri sembravano di cera. Io mi chinai