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Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/314

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308 la mano tagliata.

foltire negli alberghi e nelle vie, e nel gennaio si ebbe un arrivo magnifico di queste rondinelle e di questi rondoni viaggiatori. Costoro passavano nelle grandi carrozze da nolo con la guida dell’albergo in serpa, co’ veli bianchi e verdi al cappello, e molti originari inglesi, data la dolcezza dell’aria, avevano inalberata la pagliettina. Molti di costoro erano malati o almeno convalescenti, e molti però stavano perfettamente bene e viaggiavano per quell’istinto randagio, che trasforma i popoli de’ paesi nordici in altrettanti ebrei erranti. La città era dunque animatissima e più lieta che mai.

Stanco, disfatto, guarito solo per metà e soprattutto scoraggiato moralmente, Ranieri Lambertini era venuto a passare un mese in Napoli, prima di andarsene a Nizza, giacchè i medici gli avevano ordinato di vivere l’inverno e tutta la primavera in paesi caldi, perchè temevano per i suoi polmoni, dopo la fatale ferita, che lo aveva colpito alla porta della contessa Clara Loredana. Ancora ammalato, egli aveva fatto un giro per tutta l’Italia, interrogando le questure, i consolati, interrogando chiunque potesse dargli un’informazione di simil genere, per sapere dove si fosse potuta ricoverare Rachele Cabib. Egli aveva vagamente saputo che la fanciulla era entrata in un convento, e due o tre volte in qualche piccola città italiana gli era sembrato di ritrovare le tracce della benamata; ma sempre queste tracce s’eran dileguate, e Rachele Cabib pareva sparisse dinanzi a lui, come un vano fantasma. In verità, il giovane gentiluomo romano portava nel cuore una ferita assai più mortale della pugnalata che gli aveva attraversato il polmone. L’abbandono, la fuga, la scomparsa di Rachele avevano avvilito e desolato lo spirito di Ranieri Lambertini, e gli avevan fatto desiderare che quel colpo di pugnale gli desse la morte. L’amore che lo legava alla bellissima fan-