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320 la mano tagliata.

ti lascio andare. Sono sei mesi, che io languisco nella disperazione morale di questo amore. Io non ho fatto nulla contro Rachele. Io sono innocente. L’ho amata e l’amo con passione indicibile, ed ho mille volte invocato la morte, per aver perduto Rachele, e se ho consentito a vivere, a guarirmi, è stato nella speranza di ritrovarla; se essa è viva, e non mi è dato rivederla, io mi tirerò un colpo di rivoltella nella testa. —

E, negli occhi febbricitanti e stravolti, era così chiara la sua determinazione, che la povera serva, la quale nulla sapeva o intendeva di drammi amorosi e di suicidi, e che mancava completamente di fantasia, si figurò subito il giovane conte morto, sfracellato, immerso nel suo sangue. Tale idea le fece tanto orrore che si nascose il viso tra le mani. Egli comprese che, da parte di Rosa, ogni resistenza era vinta e le disse:

— A che ora vi andrai, domani?

— Verso le nove, Eccellenza.

— Non puoi più presto?

— Più presto le monache compiono le orazioni mattinali, e la portinaia non mi aprirebbe.

— Sta bene. Io ti accompagnerò.

— Ma, non per entrare, è vero?

— No, non tenterò nulla per entrare. Voglio solo vedere le mura dov’è chiusa la mia Rachele, voglio baciare la porta che me la contende, voglio esser sicuro che tu vi andrai.

— È certo che vi andrò, giacchè ve l’ho promesso. Verrò a prendere Vostra Eccellenza?

— No, — disse lui, guardandola con occhio diffidente. — Tu passerai la notte qui.

— Qui? — disse lei, stupefatta.

— Sì, in albergo. Ti farò dare una stanza.

— E i miei padroni?

— Manderai a dir loro che non rientri, che è arrivato tuo figlio, tuo marito, dirai quello che