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Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/329

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la mano tagliata. 323

un carcere; ma, arso dalla passione, pensò anche che nessuna porta di legno o di ferro resiste alla volontà di un uomo che ama.

E, immediatamente, un terrore subitaneo lo prese: il terrore, cioè, che Rosa uscisse subito da quel convento, il che sarebbe significato che non le era riuscito di vedere Rachele Cabib, nè di farle giungere un’imbasciata. Questo terrore si trasformò addirittura in un incubo. Inchiodato a quell’angolo di scala, con gli occhi fissi su quelle due porte sbarrate, solo, co’ brividi addosso di una mattinata fredda d’inverno, in quell’angolo dove sempre soffia il vento, egli non aveva più coscienza di nulla, tremando di vedere schiudere novellamente quella porta, di vedere riapparire il volto desolato di Rosa, scacciata dal monastero delle sepolte vive. In quella pena intima e profonda, egli cavò macchinalmente varie volte l’orologio, e, quando furono passati quindici minuti, il suo cuore oppresso si cominciò a dilatare, poichè gli pareva certo, che Rosa avrebbe veduto Rachele Cabib. Egli ignorava assolutamente che cosa sia la vita interna di un monastero, e non sapeva che il tempo vi è calcolato ben diversamente che nella vita mondana, e che un’ora lì dentro non conta come un’ora di fuori.

Difatti la dimora di Rosa nel monastero delle sepolte vive fu lunghissima, suonarono le dieci a tutti gli orologi vicini, e poi suonarono anche le undici. Egli non s’impazientiva, anzi gli sembrava che ogni ritardo dovesse convenire alla sua causa, dacchè dimostrava che Rosa era riuscita a vedere Rachele; ma, ad ogni modo, quel ritardo cominciava a pesargli stranamente. Che cosa poteva far dunque lì dentro la sua messaggiera da più di due ore? Non ne sarebbe uscita forse più?

Si voleva seppellire viva anche lei? Da che poteva dipendere quella lunga dimora?

Non sapeva Rosa che egli era lì fuori, così an-