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sioso, così fremente, come se si giudicasse, e si giudicava veramente, tutto il suo destino? Come poteva farlo aspettar tanto? Che era successo? Era malata, forse, Rachele? Era monaca? Che poteva esser successo?

Ogni minuto adesso che passava, aumentava la sua pena; e ciò che era stato la sua speranza, si volgeva nella sua disperazione. Ogni tanto gli pareva di udir scricchiolare il portone, di vedere schiudere quei battenti; ma l’allucinazione spariva immediatamente dalla sua fantasia esaltata. Erano le undici e mezzo, ora; e Rosa non usciva. Adesso, egli era preso dall’ira, anche, e pensò, se non fosse stato meglio usare l’audacia di battere a quella porta.

Due o tre volte, dalle undici e mezzo a mezzogiorno, Ranieri Lambertini risalì i larghi scaloni, che lo dividevano dal portone di suor Orsola Benincasa, e fu lì lì per afferrare la catena di ferro e scuotere fortemente il campanello; ma ogni volta si rattenne, pensando che fosse una grave imprudenza, e ridiscese lentamente la via fatta, ritornando al suo posto di osservazione, dove si rassomigliava a Gesù posto in croce. Finalmente, come scoccava mezzogiorno, il portone si schiuse, ed allo spiraglio venne fuori Rosa, che discese rapidamente gli scaloni per accostarsi a lui. Egli la fissò in viso, così ansioso e così trepidante, che le parole gli si soffermavano sulle labbra soffocate dall’angoscia. Ella aveva sempre l’aspetto turbato, ma, anche, vi era qualche cosa di misterioso nel suo viso, qualche cosa che spiritualizzava il volto poco intelligente di quella umile donna, e gli dava una espressione novella. E allora ella gli si pose accanto, e gli disse, mentre camminavano insieme:

— Ancora un momento di pazienza; parleremo poi, quando saremo arrivati al Corso. —

E, nel dire questo, anche un’intonazione di mi-