Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/344

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morta, costei aveva dovuto dirle qualche cosa di così spaventoso, più spaventoso ancora della morte stessa. Frasi confuse e paurose uscivano dalle labbra brucianti di febbre di Rachele, accennanti sempre a sua madre, a Marcus Henner, a cui ella dava il nome, nel delirio, di carnefice.

Invero, avevano chiesto permesso di avere un medico, ed un medico era venuto a visitare due volte al giorno l’inferma. Ma aveva detto che si trattava di una febbre cerebrale, e che bisognava aspettare.

Intanto, nel monastero, erano stati celebrati i funerali di suor Maria, senza nessuna pompa, ma con grandi preghiere e orazioni di tutto il convento. Anticamente nel monastero delle sepolte vive vi era il permesso di tumulare nel recinto istesso, in un piccolo cimitero accanto al giardino delle monache, quelle povere suore, che, cariche di anni, o consumate innanzi tempo da’ dolori, morivano nella loro cella, su quel nudo letto, tenendo le labbra gelide attaccate al crocifisso. Ma, con la nuova legge di polizia mortuaria, questo permesso era stato tolto, e anche le monache sepolte vive seguivano la legge comune, ed erano trasportate al camposanto di notte. Questo aveva costituito sempre per loro una grande tristezza: nelle poche ore di ricreazione, le monache e le converse, lasciando il giardino, si recavano sulle antiche tombe delle loro antenate mistiche, e vi portavano dei mazzolini di fiori freschi, e dei mazzolini di fiori artificiali: andavano a piangere colà. Adesso, ogni volta che una monaca moriva, il loro pianto risonava più alto, perchè si dolevano di vedere portar via il corpo della loro sorella. L’ideale mistico delle trentatrè era di esser sepolte vive colà, di morirvi e di restarvi morte.

Così, quando suor Maria fu trasportata via, i clamori furono alti. Ella aveva detto, in un mo-