Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/36

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30 la mano tagliata.

faceva che rigare la lamina d’argento, ma non la smuoveva: e, a un certo punto, la punta della stecca si ruppe.

Questa resistenza della serratura lo irritò: gli ostacoli lo rendevano sempre convulso, tanto era abituato a vincere, nella vita. Cercò un altro istrumento e trovò una custodietta dove erano le forbici, le pinzette, il temperino, ma li adoperò tutti, invano, contro quella chiusura così salda. Lasciò andare la scatola, affranto. Girò per la stanza, guardandosi intorno, domandandosi se non avrebbe infranto la serratura contro la pietra di marmo del caminetto. E se ciò che vi era dentro, era fragile? Se si rompeva ogni cosa? Applicò al suo volto bruciante le sue mani gelide, per calmarsi. Oramai, era deciso ad aprire quella cassetta. Nulla poteva rimuoverlo da quella decisione. Solo, pensava freddamente al modo di aprirla, senza infrangere nulla: e dopo aver passeggiato, una ventina di volte, avanti e indietro nella stanza, ebbe una idea. Se la serratura era invincibile, avrebbe rimosso i cardini e avrebbe aperto la scatola dalla parte di dietro. E armandosi di tutti quei piccoli strumenti che aveva, egli cominciò il lavoro di scardinamento: si trattava di estrarre la vitarella che regge i cardini e che era fissata fortemente. Quanto tempo mise a tale lavoro? Chi sa! Si dovette aiutare con le pinzette, con le forbici, col temperino, con le dita: spezzò la punta delle forbici, si ammaccò i polpastrelli. Eppure, muto, paziente, ostinato, seguitò il suo lavoro, come il carcerato che lima, con una corda da orologio, le sbarre della sua finestra. Quando ebbe risoluto uno dei cardini, cercò di penetrare con la stecca nell’apertura; ma trovò una resistenza molle, molto strana. A questo punto, egli ebbe come un brivido. Era solo. La notte era alta. Come un malfattore, egli si affaticava a un’opera oscena, violando