Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/400

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394 la mano tagliata.

causto del più imperdonabile delitto che mai uomo potesse commettere: l’uccisione della persona che più amava.

«Io mi ucciderò alla fine di questa confessione. Sentendo che nella vita esistono gioie e dolori, che mille volte ne aumentano il prezzo, io ho sempre disprezzato il suicida: colui che rinunzia all’esistenza prima del termine fatale assegnatogli dal Signore, è stato per me sempre un buffone o un vile. Ora, io mi ricredo. Da lungo tempo il sorriso è sparito dalla mia vita, e forse non vi apparve mai, se può chiamarsi sorriso il ghigno superbo di un uomo, che tentò di elevarsi audacemente sino al cielo. Io non ho riso mai e non fui mai ridicolo; io, non essendo un buffone, sono dunque un vile, forse.

«Il sentimento tremendo che mi coglie quando le tenebre si addensano sulla terra, e lo spettro di Maria mi appare e non mi lascia mai, sino a che il gallo canti al chiarore dell’alba, questo sentimento che sconvolge i miei sensi e disperde i miei spiriti, è la paura forse? Non lo so. So che io, che ho resistito alle crisi estreme dell’esistenza, che ho anatomizzato senza tremare i cadaveri distesi sul marmo della sala mortuaria, so che ho inteso senza tremare il grido delle vittime, che dovevan perire per assicurare alla scienza un suo segreto: io che ho avuto ogni sorta di coraggio, in ogni sorta di pericoli. Ma, vedete, le ombre sono più forti della realtà; e io ho forse paura di un fantasma e per questo fantasma io muoio.

«Quando questo manoscritto, che io depongo in una notte tempestosa d’inverno sulla tomba di Maria Cabib, in una notte simile a quella nella quale io commisi il più imperdonabile misfatto, quando questo manoscritto sarà nelle mani dei miei nemici, ultimi nemici, conte Ranieri Lambertini e conte Roberto Alimena, l’anima di Marcus Henner