Pagina:Serao - La mano tagliata, Firenze, Salani, 1912.djvu/50

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44 la mano tagliata.


Poco dopo un passo strascicato si udì per le scale e un tirare di catenaccio rugginoso: Rosa, la serva di Mosè, con una lampadetta fumosa in mano, mostrò il suo viso senza età e la sua persona ossuta e grossolana.

— Buona sera, padrone, — e lo sogguardò, con occhio scrutatore, mentre egli saliva su.

— Buona sera, buona sera, — borbottò lui, infastidito.

— Brutto tempo, — pensò la serva, fra sè, che non era senza peccati.

La scala era stretta, umida, tutta sbocconcellata: non aveva nè un cordone, nè un bastone cui appoggiarsi: la lampadetta illuminava male e per poco Mosè non cadde.

— Attento, padrone! — disse la serva Rosa.

— Sto attento, sto attento, più di quello che tu creda, — egli brontolò, entrando in casa.

Sulla soglia lo aspettava sua figlia, Rachele, che vedendolo, s’inchinò e gli baciò la mano. Tale atto lo commoveva sempre, il vecchio Mosè: e baciandola in fronte, le disse:

— Dio ti benedica, Rachele. —

Ella lo seguì, in una camera bassa e oscura che serviva da salotto, da stanza da pranzo, da lavoro. Poveramente mobiliata, vi era però, caso stranissimo, molta nettezza. La mensa era preparata sopra una rozza tovaglia, ma di bucato: i piatti erano di creta, le forchette di stagno, ma pulitissime. Era preparato per due. Rachele non aspettava mai suo padre, per pranzare: era lui, che voleva così. Rientrava a ore incerte, talvolta a mezzanotte: talvolta, non pranzava a casa, andando chi sa dove, mantenendo il segreto delle sue assenze, e non voleva che ella contasse su lui. Per economia, egli dava il vitto a Giacobbe Verona: e neanche amava che sua figlia pranzasse col suo commesso. Così, ogni sera, come quella, Rachele assisteva in silen-