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propria giornata. E, davanti a Gelsomina e a Domenico, il tram filò, nettamente, fuggendo, sparendo, verso l’alto della Riviera di Chiaia. Solo allora, vincendo il suo profondo stupore, Domenico Maresca, con un ruggito forte, tentò slanciarsi:

— Dove vai?, dove vai? — lo trattenne, Gelsomina, afferrandolo pel braccio.

— Lasciami!... lasciami!... — smaniò lui.

— Sono lontani... — mormorò lei — non li raggiungi più. Erano lì... ora sono lontani.

— Dove andranno? Dove vanno? — chiese lui, puerilmente, con un singhiozzo nella voce.

Ella ebbe una lieve stretta di spalle, innanzi a quella domanda imbelle.

— Eh! chi lo sa! A casa tua... forse...

— Credi? Credi che Anna rientri a casa? — balbettò lui.

— Credo.

— La troverò, tu dici?

— Eh! sì, sì, la troverai! — s’impazientì lei, dinanzi ad una viltà così profonda.

— E se non vi è? Se non vi è?

Gelsomina non rispose. Distratta, occhieggiava a diritta e a sinistra della Riviera di Chiaia, come se dovesse scorgervi qualche cosa di strano, ma di cui fosse in attesa, in agitata attesa.

— Se non la trovo, Gelsomina, se non la trovo, che ne sarà, di me? — gemette l’infelicissimo.

Ella non l’ascoltava più, vinta, adesso, dalla imminenza di qualche cosa che temeva e che, senz’altro, doveva accadere. E come un fanciullo

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