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146 storia di due anime


debole e malato, Domenico Maresca gemette, ancora:

— Gelsomina, se non la trovo, io ti vengo a cercare! Dimmi dove stai, io ti vengo a cercare, se non la trovo...

— A far che? — disse lei, con una voce ove fischiava l’ironia.

— A piangere con te... a piangere... Gelsomina, se non la trovo! Dimmi, dove stai?

— No — disse lei, brevemente.

— Ma perchè? Perchè? Neppure tu! Neppure tu!

— Non posso — ella soggiunse.

— E perchè, non puoi? Perchè? Se non la trovo, che ne sarà di me?

— Guarda — ella disse, con un cenno.

Verso loro due si avanzava un uomo, un giovane. Portava un vestito grigio chiaro, attillatissimo, un cappelletto nero sull’orecchio, le mani in tasca, un bastoncino che usciva da una delle tasche: le sue scarpe scricchiolavano: e tutta la sua persona di una volgare beltà, aveva un’andatura provocante, la sua faccia bella e triviale, un’aria provocante. Di lontano, scorse Gelsomina che parlava con Domenico, si fermò. Egli attese, così, un minuto. Poi un fischio leggiero e lungo gli escì dalle labbra.

— Eccomi — disse, come fra sè, Fraolella. — Qui sta il cane.

E senza voltarsi, senza guardare, soggiunse, al pittore dei santi:

— Addio, Domenico.