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capo basso, con certi visi consunti e indifferenti di poveri rassegnati: e accordavano i loro strumenti. Don Biagio Scafa che, venti anni prima, era stato grande ballerino, direttore di feste da ballo, nella piccola borghesia, cui apparteneva, messo in allegria, fra il frastuono generale di un dopo pranzo vivacissimo, assunse il carico di dirigere le danze. E i due gruppi, sempre divisi fra loro, ridevano, strillavano, le donne dei Dentale, che aveano tolti i guanti per il pranzo, assicuravano i loro anelli, toccavano le loro collane sul petto per vedere se erano ferme, si sventolavano leziosamente, in attesa degli inviti. E il marito di una Dentale invitava la moglie dell'altro, un cognato la cognata, un cugino la moglie del cugino, e persino un fratello la sorella sua, una brutta zitella che faceva il viso malinconico, perchè nessuno la invitava. Nel gruppo dei Maresca, si faceva grande chiasso, ma le coppie non si formavano ancora, qualcuno sapeva ballare sola la polka, qualcuno solo la quadriglia, e qualcuno niente! E il ritornello di un waltzer, ordinato dal possente e giocondo don Biagio Scafa, risuonò. Delle coppie, specialmente dal lato Dentale, tentarono di slanciarsi.

— Prima gli sposi! prima gli sposi! — tuonò don Biagio.

In piedi presso Anna, impacciato, goffo, con le mani pendenti, il suo busto troppo grosso sulle sue gambe magre, la sua pesante testa sul collo corto, sulle spalle curve, Domenico Maresca non si deci-