Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/277

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il quarto d’ora di rabelais. 267

demolizione di quell’opera ch’era costata tante fatiche, tanti dolori, tante umiliazioni, a cui avevano concorso tante giovani forze, tanta generosità inconscia, tanta abnegazione sconosciuta, avveniva. L’organismo malsano si sfasciava: un terrore riprendeva i due che lo ascoltavano, i quali si guardavano senza osare di più domandarsi: Come andrà a finire? poichè lo sapevano, lo vedevano ormai come doveva andare a finire.

“Che fate adesso?” concluse Bertarelli. “È una sciocchezza inutile quella che s’è messa in testa Frati. Joanna è un uomo finito: si deve ammazzare per forza.”

E mentre Joanna, posseduto dal fantasma della sua fine che lo divorava silenziosamente, passeggiava tra alcuni suoi amici frementi di strapparlo alla morte e alcuni altri amici che lo abbandonavano alla fatalità, Paolo Stresa, infocato, ansante, rientrò con l’onorevole Sinibaldi, e con Wood. Entrarono tutti e quattro nel salotto, ov’erano quei tre a parlare, e che si empì. Il deputato meridionale, alto, colorito, con molta barba nera, e il giornalista inglese, secco, muscoloso, una pertica, si posero Riccardo in mezzo, sul canapè, parlando di cose indifferenti, travolgendolo in un discorso copioso, un po’ sconcertati dalla sua apparenza