Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/282

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272 il quarto d’ora di rabelais.


Joanna, fatalmente, tornò alla scrivania, al trono che stava per mutarsi in catafalco. La piccola scrivania di falso mogano, tutta scarabocchiata di pupazzetti, tutta istoriata di nomi, di leggende scritte fra una cartella e l’altra, era già, dopo tre mesi, un monumento di lavoro, di dolore, di collera. Guardò la busta gialla, sotto il timbro, la sua condanna. La stanchezza cresceva.

Di là, tutti i suoi amici, radunati insieme, cercavano il modo d’impedire la sua catastrofe, preconizzata da lui, auspicata da lui, annunziata da lui. Lentamente, senza spiegazioni, naturalmente, s’erano reciprocamente intesi. La posizione era imbarazzante. Come fare a sottrarsi? Ammazzarsi in quel momento, mentre essi erano tutti di là, con un colpo solo, d’un tratto?

Di nuovo, il fracasso della porta aperta empì le stanze silenziose. Era il proto. Prese le cartelle della cronaca, si fermò per vedere se Joanna aveva null’altro da dargli. Riccardo, macchinalmente tese la busta gialla. Ma come la vide in mano al proto, un fuoco gl’investì il cervello, le tempie gli batterono furiosamente.

“Dammi quella lettera. Non c’è altro, per ora: verso l’alba, forse, si manderanno poche righe.”