Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/283

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il quarto d’ora di rabelais. 273


Il proto se ne andò. Joanna restò con la lettera in mano, un tremito convulso lo facea vibrar tutto, era gelato. Pensò alle parole di suo padre, le ultime: “Vedi come si muore!” Un abbattimento lo accasciò, si sentì spezzato, in tutte le molle; e con la penna, che aveva presa, macchinalmente, trasognato, scarabocchiò delle parole incoerenti.

All’alba, alla stazione, tutti i redattori dell’Uomo che ride, tetri, pieni di sinistri presentimenti, non osando più lottare contro la fatalità inevitabile, aspettarono che il treno di Firenze partisse. Non partiva nessuno quella mattina, fredda, funebre, lacrimevole. Joanna era una massa inerte. Bianco, con gli occhi rossi, la faccia contratta. Era un uomo morto. Baciò i suoi amici, lungamente, convulsamente, non nascondendo più il pianto. Li guardò dallo sportello, accasciati, distrutti anch’essi da quella tragica avventura che li aveva tutti trascinati. Gli era caduto il cappello, salendo nel vagone: i suoi bei capelli erano tutto un tumulto.

Non seppe parlare stendendo a Frati la busta gialla che aveva portata seco.

Frati, prendendola, non seppe dir nulla. Tutto era inutile, tutto. Solamente, quando il treno se ne andò, battendo, sbuffando, nella tragica alba romana, quelli che restavano alza-