Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/328

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318 una catastrofe.

lite, ma sulla fronte un ciuffetto si arricciava ancora: gli occhi pallidissimi sotto le palpebre rossicce erano anche deturpati da due borse flosce, ma sogguardavano ancora, ogni tanto, con un languore inconscio: il volto era tagliato da mille sottilissime rughe, ma non aveva perduto un resto di antica nobiltà: i denti erano neri pel sigaro. Quello che era ignobile, era il corpo: il collo si era ingrossato, le spalle si erano curvate, la pancia, la pancia era diventata enorme: e sotto quella pancia le gambe parea si fossero rattrappite. Ma il corpo non si vedeva nella poltroncina rotonda: e sulla immaginazione del giovane bruno, il grande giornalista, il terribile giornalista, Riccardo Joanna, apparve ancora come un magnifico avanzo di nome.

Intanto Riccardo Joanna aveva finito di scrivere la sua lettera, aveva fatto l’indirizzo sulla busta e aveva sonato sopra un timbro: n’era venuto fuori un suono rauco, come un singhiozzo sbagliato — la campanina del timbro era rotta. Pure Agabito si era presentato, con la sua ciera di servo infinitamente seccato.

“Questa lettera a Sua Eccellenza.”

Agabito la girava fra le mani, restando impalato.

“Debbo portarla io, signor cavaliere?”