Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/373

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una catastrofe. 363

torno a lui. Nella stanza del direttore si taceva: Riccardo Joanna era ricascato in uno di quei suoi torpori, quel leggiero sonno che lo abbatteva, ogni tanto, in mezzo al lavoro, in mezzo alla conversazione. Antonio Amati taceva, preso anche lui da una stanchezza, da una sonnolenza, con un bisogno prepotente di mangiare e di bere, di sdraiarsi, di fumare, di sonnecchiare. Finiva il giorno e la Via San Dalmazio era già scura. Il ragazzino entrò, con una carta fra le mani; e la mise silenziosamente innanzi a Riccardo Joanna. Costui la guardò, ma parve non la vedesse. Il fanciullo aspettava, pazientemente. Alla fine, disse, sottovoce:

“Trentacinque e settanta.”

Riccardo Joanna lo guardò, lesse la carta, macchinalmente:

“Va bene,” disse. “Va’ di là: ora ti darò le trentacinque e settanta.”

“Non tardi, signor cavaliere: son solo e non arriverò in tempo.”

“Arriverai, arriverai.”

Una inquietudine si manifestò sul volto di Antonio Amati. Si era fatto pallido: e la sua leale e buona fisonomia di giovanotto spensierato si contraeva nervosamente.

“Che ci è?” domandò, come allarmato.