Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/383

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una catastrofe. 373

versarono un’anticamera, in cui il fiammifero di Riccardo Joanna facea sembrar fantastici certi grandi armadi.

“Non risvegliamo la padrona di casa.”

“Dorme così presto?”

“È una levatrice: dorme quando può!”

Era una stanza mobiliata banalmente, con un gramo tappeto, certe mezze tende bianche all’uncinetto e un lettuccio stretto e miserello. Riccardo accese una mezza stearica: sedettero ambedue accanto al tavolino, dove vi era l’occorrente da scrivere: ma non un foglio era intiero, tutti erano macchiati, il calamaio era secco, la penna carica di crosta secca d’inchiostro. Riccardo Joanna guardava il fumo andarsene al soffitto: Antonio Amati guardava Riccardo Joanna e la stearica ardeva in mezzo a loro con luce fioca e giallastra.

“Voi soffrite,” mormorò il giovanotto.

“Io? no. Non soffro neppure più.”

“Non volete confidarvi? Non vi sono amico abbastanza?”

“V’ingannate. Io non mento. Vi assicuro che non soffro più. L’anima, come il corpo, si assuefà a certi dolori. Sono passati tanti anni di questa vita!”

“Sempre questa vita?”

“Sempre uguale l’essenza, varia la forma.