Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/47

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piccolo. 37


E diceva queste tre sole parole lentamente, con un accento profondo, staccando le sillabe, dando alla frase come un senso sacro. Una notte, il padre lo aveva condotto in tipografia, dopo il teatro: Paolo Joanna aveva bisogno di dire qualche cosa al proto: i tipografi della notte lavoravano, ma la macchina stava ferma: sopra certe ruote erano buttati degli strofinacci unti di olio, una gran tela nera quasi quasi la ricopriva.... ed essa s’immergeva nella penombra.

“Che fa la macchina?” aveva chiesto sottovoce il bambino.

“Dorme,” aveva risposto distrattamente il padre.

“La macchina dorme,” ripeteva pian piano Riccardo, come se non volesse svegliarla, “la macchina si riposa.”

Gli pareva quasi una gran cosa umana, come un congegno che avesse l’anima. A un tratto il gas intorno alla macchina fu alzato, la tela fu portata via, i cenci unti furono buttati in un cantuccio e con un rombo prima sordo, poi fragoroso la macchina, svegliata, viva, cominciò a buttar fuori le copie del giornale La Patria che usciva al mattino. Riccardo era rimasto compreso di meraviglia; e da quella notte, ogni tanto, pensava fra sè:

— La macchina non riposa mai. —