Pagina:Serao - Vita e avventure di Riccardo Joanna, Milano, Galli, 1887.djvu/51

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tante, Salvatore Decrescenzo, detto Totore, dava a chi cento, a chi cinquanta, a chi duecento copie di giornali. Le mani si tendevano, i monelli si urtavano: ma Capozzi era flemmatico, non perdeva la testa, faceva l’appello come pei soldati.

“Dove sta Gennarino Mennella?”

“Sto qua.”

“Sebastiano Loiodice?”

“Eccomi, don Giovannì.”

“Margherita Santaniello?”

La ragazzina era lì, con le mani tese.

“Cento a te, cento a tuo fratello.”

Ora, come la distribuzione finiva, i monelli battevano i piedi per l’impazienza. Tenevano il fascio dei giornali per un capo, spiegati innanzi come un tovagliolo, e stavano già quasi col corpo proteso, per fuggire. Ma Capozzi, quasi scherzando con la loro furia, li tratteneva ancora. Essi aspettavano da lui la parola d’ordine, la frase che dovevano gridare, per vendere meglio i giornali. E solennemente, in napoletano, Capozzi la pronunziò:

I’ mazzate d’i’ Cammere.

E con un cenno olimpico della sua canna d’India licenziò i monelli. Fu una fuga come la partenza di una freccia: fuga muta, ansiosa.