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iii. le «croniche di lucca» 777

in cui Benedetto xii liberò la cittá dall’interdetto scagliato contro di essa ai tempi di Castruccio. Non essendo egli stato testimone diretto dei fatti narrati in questa parte, si servi di pochi documenti e di molte testimonianze indirette che lo fecero incorrere in molte imprecisioni.

Più tardi, e forse sotto la spinta data dall’esempio delle cronache fiorentine, volle giungere più addentro nel passato, e pensò di valersi di una cronichetta lucchese in volgare1, mutila, che comincia dal 1164. Accrescendo man mano il materiale contenuto nella cronichetta con l’aiuto di altre fonti2, il Sercambi porta questa parte fino all’anno 1313, data della fine della Repubblica per la conquista di Uguccione della Faggiuola. Questa parte occupa i primi 117 capitoli.

Ma che essa sia stata aggiunta in un secondo momento è provato dal fatto che il vero inizio, con invocazioni e dediche e professione di fede e di credo, si trova nel cap. cxviii, al principio cioè della seconda partizione della materia, che va, come si è detto, dal 1335 al 1368.

In questo capitolo, dopo aver dichiarato di volersi attenere alla verità nel registrare gli avvenimenti della storia lucchese e toscana, l’autore passa a ricercare una giustificazione alla sua opera di cronista, dividendo gli scrittori in tre categorie: nella prima egli pone quelli che compongono «libri teologi e divini coi quali si difenda la fede di Christo dalli heretici e scismatici, judei e da altri li quali volessero la dieta fede di Christo diminuire»; nella seconda, «i gran maestri e poeti in scienzia esperti», ai quali spetta di scrivere libri di «leggi civili e morali, filozofia, medicina et di tucte le vii scienzie», sempre che non offendano la fede di Cristo e la verità; alla terza categoria egli assegna infine quegli «homini senza scienzia aquisita, ma segondo l’uzo della natura experti e savi», ai quali compete «compuonere canti di bactaglie, canzoni, suoni et altre cose, a dare dilecto alli homini simplici et materiali, e alcuna volta dinotare alcune cose che appaiono inne’ paezi».

Nessuna meraviglia, aggiunge, se i libri di questa categoria di scrittori non sono così corretti come si converrebbe né così consoni alla ragione, poiché, come dice il proverbio, «nemo dat quod non habet». Bisogna dunque apprezzare la volontà di far bene e la buona fede: «Assai

  1. Di cui esistono due copie, una che va dal 1070 al 1304, ed un’altra che dal 1164 giunge fino al 1260. Un raffronto fra le due copie mostra che il S. si è dovuto servire della seconda (le Croniche infatti hanno inizio con il 1164). Ambedue furono stampate dal Bongi, in «Atti della R. Acc. Lucch. di Sc. ed Arti», xxvi (1893), rispettivamente alle pp. 223-42 e 243-54, precedute da un’introd. Uno squarcio della seconda è pubblicato in La prosa del Duecento, a c. di C. Segre e M. Marti, Milano-Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 903-06.
  2. Su di esse v. la pref. del Bongi, pp. xx-xxi.