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778 nota bio-bibliografica

fa l’uomo quando fa alcuna cosa puramente, posto che non abbia saputo me’ fare, pur à facto a buon fine». Il Sercambi pone se stesso in quest’ultima categoria, reputandosi «non ammaestrato in scienza teologa, non in leggie, non in filozofia, non in astrologia, né in medicina, né in alcuna delle septe arti liberali», e sapendo invece di scrivere «corno homo simplici e di pogo intellecto, materialmente».

Le Croniche sono il diario dell’uomo politico lucchese, che ne è il vero centro prospettico, ed attraverso le cui passioni ed i cui interessi gli eventi vengono filtrati. Ciò porta, come avviene nelle cronache di questo genere, ad una certa deformazione dimensionale dei fatti: ci passano davanti, nelle identiche proporzioni, le scaramucce periodiche fra pisani e lucchesi, la fine della cattività babilonese, casi di abigeato nel contado lucchese, la conquista fiorentina di Pisa, l’esecuzione capitale di un ladro, l’incoronazione di Giovanna di Napoli o la guerra dei Cento anni.

Ma per la stessa ragione, e cioè in virtù di quell’individuabile centro prospettico, una certa vitalità s’insinua nella narrazione, che non rimane mai fredda ma di frequente si leva in un tono di coraggiosa enfasi a rinfacciare ai contemporanei le loro viltà, le loro inutili crudeltà, gli errori di governanti o i vizi della curia, o ad apostrofare imperatori, papi, tiranni e popoli. Verso la fine della sua vita, quando non gli erano più rimasti peli sulla lingua, il Sercambi giunge al punto di fare i nomi dei lucchesi che esercitavano «la notaria senza alcuna ragione di gramatiche»1, quasi ad additarli al disprezzo dei posteri.

Di apostrofi morali se ne trovano moltissime sparse nelle due parti delle Croniche: alcune brevi come delle semplici annotazioni moraleggianti, altre invece di struttura ampia, involuta, vero commento morale ad un avvenimento, specialmente quando il cronista scorge in esso un gioco di forti istinti e di passioni umane. Egli impianta perfino dei lunghi dialoghi con immaginari interlocutori che si difendono malamente dalle accuse incalzanti.

Nelle apostrofi e nei suoi giudizi sembra che le due costanti più caratteristiche che il Sercambi riconosce alla prassi politica siano l’utile particolare come movente e fine, e l’assoluta necessità, come mezzo pratico, di appoggiare il potere sugli amici fidati e di diffidare dei nemici. In forza della legge dell’utile particolare egli spiega e comprende i moventi dei nemici suoi e di Lucca. Tipico a questo proposito è l’atteggia-

  1. iii, 326.