Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. II, 1972 – BEIC 1925048.djvu/324

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822 nota filologica

sarebbe dunque battere una simile strada che non potrebbe trovare altro sbocco che in un assoluto scetticismo.

La presente edizione riflette adunque il testo del codice Trivulziano 193 studiato al lume della testimonianza parziale offerta dal codice Lucchese 266 e giustificato nelle sue forme lessicali, morfologiche e sintattiche al lume degli altri scritti degli Sercambi e di opere di scrittori a lui contemporanei. La punteggiatura, che costituisce forse la misura fondamentale della nostra interpretazione, è stata scandita tenendo nell’orecchio il timbro «orale» della narrazione del Sercambi: di un narratore cioè che aveva sempre presente un ben definito uditorio, sui gusti del quale egli modellava il suo impasto linguistico particolare, che da una parte riflette la situazione del vernacolo lucchese tra la fine del xiv ed il principio del secolo xv, e dall’altra tende ad essere un mezzo allusivo dell’ambiente borghese raccolto intorno alla corte del Guinigi, nutrita alla tradizione fiorentina e con ambizioni e gusti umanistici.

Bisogna riconoscere che un sistema di punteggiatura sviluppatosi dentro un sistema sintattico di natura fortemente prescrittiva e letteraria mal si adatta a registrare tutti i movimenti e le libertà che si vuol concedere il tipo di narrazione paraipotattica di intonazione popolaresca qual è quella del Sercambi. Nell’interpungere abbiamo perciò tenuto presente questa situazione. L’interpunzione ha qui dunque lo scopo precipuo di dar la possibilità alla narrazione parlata del novelliere di spiegarsi in tutte le sue volute e di scandire le sue pause; ha lo scopo di precisare i legamenti lasciando allo stesso tempo libera l’inflessione e l’intonazione.

Rendendo dunque il testo dell’apografo Trivulziano, ci siamo limitati a segnalare la corruttela solo quando essa è evidente e quando non abbiamo potuto trovare una giustificazione alla forma presentata dal testo stesso. Abbiamo congetturato solo quando autorizzati dal testo stesso, limitandoci, in mancanza di una tale autorizzazione, a congetturare il vuoto. Allorché poi la corruttela di T è manifesta ci siamo appellati alla testimonianza del codice Lucchese.

Di T abbiamo conservato anche la grafia con tutte le oscillazioni (tranne qualche raro caso, in cui ci è sembrato impossibile, e di cui renderemo conto nella nota sulla grafia che segue), con qualche indispensabile modifica che chiariremo. Abbiamo rimesso i titoli in italiano al loro proprio posto, cioè subito dopo quelli latini, convinti che essi siano i veri titoli delle novelle e che quelli latini rappresentino piuttosto dei traslati. Abbiamo d’altra parte livellato i titoli latini secondo la grafia