Pagina:Sercambi, Giovanni – Novelle, Vol. II, 1972 – BEIC 1925048.djvu/323

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ii. le edizioni 821

critico-storico, nel quale, ahimè, l’autore non si impegna a risolvere nessuno dei problemi storici o filologici connessi con il testo1.

B) La presente edizione


Stabilito tutto ciò, si giunge infine alla questione fondamentale: è legittima e giustificata una edizione critica basata su di una tale debolissima tradizione testuale?

Questione che affrontiamo facendo prima di tutto una considerazione di carattere generale, e cioè che l’unica giustificazione di cui un testo ha veramente bisogno è la sua stessa esistenza fisica, e che il numero dei problemi ad esso connessi si identifica ed esaurisce con il numero dei problemi in esso contenuti. Tenendo conto di questo principio e di tutti i problemi fin’ora discussi riguardo al codice Trivulziano 193, la critica testuale, che nel nostro caso non riesce a trovare le sue basi su di una testimonianza chiaramente autografa né su di una pluralità di testimonianze mediante un criterio comparativo, deve necessariamente fondarsi su di una euristica tendente a colmare la distanza fra l’apografo ed il suo archetipo; euristica che per la sua stessa natura traduce un criterio puramente congetturale in uno di natura genuinamente filologica.

Nella prassi, dunque, la critica testuale che riguarda le Novelle del Sercambi, si pone come restauro testuale. In questa operazione ci soccorrono intanto ausili di grande importanza quali la testimonianza offerta dal codice lucchese delle Croniche, lo studio delle abitudini linguistiche, fonetiche e morfosintattiche, delle altre opere dello scrittore ed infine le abitudini ed i caratteri fonetici e morfosintattici sincronici.

All’obbiezione che un simile procedimento lascerebbe sempre un margine di dubbio che inficierebbe alla base la possibilità stessa dell’edizione, si può rispondere prima di tutto ricordando che, se esso viene inteso in modo empirico e meccanico, allora il dubbio è ineliminabile dalla critica testuale in qualunque forma essa si presenti; ma a quell’obbiezione si risponderebbe meglio osservando che proprio il porre un simile dubbio è in se stesso un atto illegittimo perché basato su di una mera congettura, e cioè la presunzione dell’esistenza dell’«altro». Vano

  1. Per un parere consimile sull’ed. del Beretta, si veda l’art. cit. del Rossi, pp. 216-20. Il Rossi (pp. 206-15) stampa anche due novelle, e precisamente quelle corrispondenti ai nn. viii e xi, che egli però, seguendo il Renier, numera come vii e x.