120In riguardar di numero cresciuti,
Quanto di forza e di vitale umore
Perdono i poverissimi zampilli
In magro stagno e livido conversi
Più ad intristir che a ristorare il campo, 125Cui debbo ognun di più benigne piante
Più diffusa donare ombra secura.
Razza infelice, te fatta crudele
Madre d’infelicissima progenie
Grida e condanna e non corregge il mondo. 130E delle antiche tenebre ti aggrava
La mente sì, che del tuo meglio ignara
All’oggi guardi e del diman non curi.
Indi l’ozio infingardo e la proterva
Compagna indivisibile, che pane 135Chiede ed invola, e pria di sangue il lascia
Tinto che di sudor stilla lo bagni.
Se per infetto germe si matura
Di cento rami attossicato frutto,
Qual fia che di virtude ornata prole 140Dalla trista propaggine discenda?
Biasmo eterno a colui, che alla sorgente
Del mal non badi, e il danno e la vergogna,
Infin che basti, a prevenir non tenda.
Già la rigida sferza dalla stanca 145Mano gli cade, e se pietà lo vince,
Alla ferita il balsamo vien manco.
Che se di fida scorta ancor si tardi
L’aiuto salutevole, che affreni
Dell’istinto brutal la cieca foga, 150Vedrai di novo e più lurido armento
Popolata la terra, onde ricambio
Avrà funesto dei negati uffici
Dalla improvida schiatta, a cui l’umano