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158 | sermone decimosesto. |
Delle nubi soggette; e tanto n’ode
Il fragoroso tuon, quanto più salda
In sua proposta duri e di più bella
225Pietà si pinga per l’altrui sciagura.
Nella parte serena, ove s’irraggia
A più candida fe, tale una santa
Comunanza di affetti e di pensieri
Regna, che del suo amor la fortunata
230Schiera mai l’astro impallidir non vede.
Arbor felice, cui di lieti fiori
Inghirlandava il giovinetto aprile,
Se autunno mova ad appannarne il verde
Delle foglie caduche, altero mostra
235Al dolce incarco dei maturi frutti
Curvati i rami, e con paterno orgoglio
Porge suoi doni e dell’altrui conforto
Quasi s’allegra ed onor novo acquista.
Ma cento volte e più felice quella,
240Che degli antichi padri il capo adorna
Veneranda canizie, allorchè i lunghi
Giorni ricorda non indarno spesi,
Ed i cresciuti a generosi esempi
Figli, diletta ed unica speranza
245Di più degno avvenir, sì che la stolta
Usanza vinta da civil costume
Si rinnovelli migliorando il mondo.