E al danno aggiungo la vergogna; o passa
Il varco, e fugge l’invocata aita,
lenta lenta per anguste vie
In parte viene. Con occulta fraudo 235La mia legge delude, o la mia voglia
Schernita lascia con amaro inganno.
Tempo surse migliore; e già sull’aia
Dei raccolti manipoli si allegra
L’adusto mietitor. Fervono l’opre 240Dell’officina, e il delicato arnese
Per cento pani mi concedi appena.
In breve cerchio timida e pudica
Necessitade ha certo regno e fermo.
Ma colle penne rapide e leggiere 245Senza leggi e confine e senza posa
Vola scherzando a guisa di farfalla
La volubile moda, e in poco d’ora
Al proprio foco intorno si consuma,
E dalle fredde ceneri risorge 250A nova forma. Il fiorellin che nasce
Coll’alba, e al declinar more del giorno,
Caro si rende più, quanto più vago
Di leggiadra donzella al crin s’intreccia.
Il gozzo è pago dell’usato pasto; 255Ma di vezzi, di fogge e di moine
Paga non è tra gl’infiniti nulla
La vanità dei cervellini strani.
Tu di censore rigido la sferza
Sospendi, e il velo penetrar ti basti 260Che una parte di vero in sè nasconde,
Mostrando come il molto oro si versi
A larga mano più, quanto la nostra
Follia più ratto si dilegui al vento.
Chi la materia faticando appresta,