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xiv coscienza letteraria di renato serra

pura e semplice. E poi, dei divertimenti personali, in margine. Oppure, il volume di mille pagine: ed è un’assoluta necessità, per poco che uno abbia di coscienza; e preferisca il dire al tacere». Diceva così, veramente, un poco per dispregio, e un poco ragionando per assurdo. Per dispregio di quelli che giudicavano (e giudicano) a libro non letto; ragionando per assurdo contro quegli altri, che con una formuletta pensavano (e pensano) d’aver capito tutto, detto tutto, superato l’argomento e il tema dell’argomento. Serra, intanto, nel tempo stesso che diceva di rinunciare alla critica, si preparava a scrivere un vero e proprio saggio critico, il suo primo vero saggio, quello su Rudyard Kipling. Nella lettera citata c’è, direi, il «fatto personale», la radice di quel suo interesse a Kipling. «C’è dei giorni in cui a leggere soltanto o a dire il nome, a scoprirlo in un indice o a indovinarlo di lontano fra le righe minute d’una colonna di gazzetta, provo lo stesso rapido trasalire, e la gioia fisica con che un innamorato scandisce e assapora il nome dell’amata». Troppo umano? Ma Francesco De Sanctis non disse diversamente delle sue letture, da cui nacquero i Saggi. E leggiamo ora quel che Serra scrisse su Rudyard Kipling.

Comincia come una diana: «Basta profferire le sillabe del bel nome, squillante come una fanfara esotica, ed ecco da tutte le parti concorrere come per se stesse mosse le grandi frasi sonore; ecco gli aggettivi lustri come un soldo nuovo, le imagini sontuose e le osservazioni profonde rannodarsi, come soldati alla bandiera, intorno ai punti culminanti: ‘il professore d’energia degli anglo-sassoni’, ‘il rosso poeta del sangue’, ‘il confessore e il banditore delle virtù, delle vitto-