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114 | scritti di renato serra |
di vecchie, buie fantastiche e pur vive come nel chiaroscuro di una acquaforte tedesca. Quel parlottare sommesso, quel susurro di rosari, quelle piccole querele e invidie e avventure, e i sogni e la morte, si confondono con un rimpianto di sole e di verde, si perdono fra i suoni vaganti nell’alba assonnata.
Bellissima cosa è poi la novella dei «mimmi»; la più sobria e forte cosa forse che il P. abbia fatto. Eppure c’è ben del suo in quel protagonista, che dovrebbe ristorare in campagna la sua nevrastenia e non riesce se non a irritarla: che sfoga la sua bontà e la sua tenerezza con la musoneria e col sarcasmo, che sta per cedere, senza volere e senza confessare, al gracile incanto di una figurina femminile; essa lo sfiora timida e poi vola senza essersi accorta al fine di un suo amore molto savio e pratico. Ma tutto questo è segnato nei paragrafi di una cronaca secca, impersonale e perfetta; a cui nè una parola è oziosa nè un aggettivo ridonda; il dramma freme, e non si sa come, in quei particolari prosaici, indifferenti come cose vere.
Ma lasciamo andare; dopo aver corso tante pagine si torna sempre a un punto; alla persona e al carattere dell’autore, che è infine fra tutte le creature dei suoi libri la più amabile.
La grazia del suo raccontare non nasce nè dall’agevolezza dell’invenzione nè dal rilievo lucido delle fantasie; per novelle, son piene di difetti, disuguali, incerte, imperfette. Ma la sua voce si sente in tutte; e in tutte trema, come nei pezzi d’un cristallo rotto, la immagine di lui.
E quella volta che egli ha preso per argomento del suo libro, non i casi e i tormenti propri incorporati in persone aliene, ma puramente e sem-