Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/170

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alfredo panzini 123

suno dei tre si svegliò: nessun rumore umano diede segno all’intorno che il tempo della siesta fosse per finire».

E poi pensa alla gioia dei bimbi quando i fantocci ballano: a lui dànno fastidio invece, perchè la sua giovinezza è finita. E questa si chiama sapienza! — La divagazione meditativa non è tutta felice, il pensiero del P. ha sempre qualche cosa di incerto, di goffo nel suo discorrere; ma lo spunto com’era quieto e solenne! E passano nella mente altri vagabondi, pellegrini, straccioni invidiati, fino a quella fanatica del Cadore, incontrata nel primo viaggio.

Passano, per la via, altre figure. Ecco la tragica, magra, piccina; di indefinibile età giovane. Andava scalza e trascinava con moto serpentino certi abiti negletti e cadenti, come persona che si è più coperta che vestita. Sul capo, un sontuoso cappello alla moda; carico di veli. Il viso pallido e pieno di tedio, gli occhi fissi lontano.... Dove ha veduta costei?

Ma la sente parlare; riconosce la voce. Voce già udita in grida di Valchiria, in gemiti di cavalla nitrente; ma già io vidi quella zingara vestita da regina, quella piccola figura già la ammirai sollevarsi, contorcersi sotto il soffio della passione. Dove? Sul palcoscenico.

E la donna ripassa, pallida e rigida, fra i tamerici, il suo sguardo erra sul mare, e l’anima dello spettatore erra nel solco d’amore e di voluttà che il gesto di lei fingeva nell’aria muta.

Invano è l’eremo, invano il Nirvana, invano sta il chiostro. Su tutto regna la pandemia venere; al soffio della demoniaca ogni cosa si torce e grida l’invincibile amore.

Questo è principio e fine dell’universo. — Il