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174 scritti di renato serra

po’ faticosa di Severino come cosa nuova, che non si sa di dove sia piovuta; con echi ed effetti bellissimi:

Come un argenteo tinn di campanello
che pettegolo vibra lungamente....

Certa solenne chiacchierata pazza
fra un continüo ridere sottile....

C’è un zufolar sì tremulo, che viene
di fondo a i fossi su da i rospi; e sale
sottil rigando il querulo corale....

La fontana del riso intorno intorno
rompeva un lento strepito perenne.1

Del resto si tratta di cose vaghe; può essere l’eco, quasi imitazione, di certi luoghi, come la fine del primo sonetto spezzino, pur bello; può essere somiglianza, diciamo così, di situazioni, che parte continua e parte varia nel linguaggio, come nei ricordi del padre vecchio, e delle letture fanciullesche e dell’Ariosto, può essere anche una pura disposizione dell’animo a contemplare, come in quelle deliziose Ore notturne, in cui il distinguersi e il crescere delle musiche nella notte, dal flauto del vento tra le fronde dell’olmo, su su,

  1. E sarebbe poi da notare anche, nei versi del Pascoli, l’efficacia della consuetudine di Severino. E si troverebbe, credo, in molti versi del tipo di questo ultimo; dove, per dire così alla buona, l’andamento e la cantilena pascoliana cava le sue risonanze da una elocuzione oltre il costume suo sostenuta, eletta:
    Brigliadoro da l’India Sericana
    in questo trebbio il lungo error sostenne.
    Versi quasi parnassiani. Ma chi ha tempo per tali malinconie?