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328 scritti di renato serra

sono la traccia del tentativo artistico infelice e insieme una concessione alla volgarità: cadono nel tipo delle altre e non le valgono per piacevolezza.

Non c’è paragone fra la fattura superficiale della Deledda e la ricchezza d’impressioni vivaci e mobili e quasi sincere in un bozzetto, poniamo, di Térésah; o il realismo esatto e l’interesse arguto, se pur meccanico nelle sue combinazioni, di una novella di Ojetti. Anche questo somiglia un po’ a Zuccoli, per una certa eleganza di scrittore, che cominciò con intenzioni ed esercizi propriamente letterari, e a mano a mano s’è dato al mestiere, e ora è uno degli ornamenti del nostro giornalismo: ciò non toglie di avere spirito e garbo invidiabile: non ha veramente il dono del novelliere, non crea personaggi, ma sa osservare e sopra tutto scrivere, quasi signorilmente. La sua prosa non esce dal tipo comune, di tutti i letterati che hanno amato D’Annunzio e letto i francesi un po’ d’anni addietro: ma pare che abbia rinunziato alla pretesa di ricordarlo troppo; questo la rende amabile nella pulizia.

Meccanico come gli altri, nello svolgimento del racconto come una combinazione preparata per lo scatto, ma tuttavia più interessante è Bracco: il quale adopera, — insieme con quel certo realismo di marca francese, adottato dal giornalismo napoletano del 1895, — una facoltà propria di scegliere e semplificare le circostanze, di persone o di casi, che servono come molla a produrre l’effetto.

Ma tutto ciò riguarda solo in parte la letteratura. Novelle accurate e di una psicologia non volgare ha scritto Picardi; con una serietà e acutezza di animo che supera la finezza della fattura.