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366 scritti di renato serra

A questo la propedeutica crociana ha giovato. Ma le intenzioni e i programmi non bastano: conviene anche realizzarli.

E allora si può dire che se l’impostazione dei problemi è giusta, la soluzione è quasi sempre sbagliata.

Ciò non importa molto, naturalmente, a una critica, per cui tutte le cose buone e cattive valgono solo come pretesto di drammi spirituali, in cui l’ingegnosità dialettica e stilistica può brillare ugualmente, se pure la giustezza delle impressioni sia un poco sacrificata.

Ed è curioso poi questo, che anche quando un giudizio, all’ingrosso, è imbroccato, bisogna contentarsi della grossolanità: guai a scendere alle giustificazioni minute, e sopra tutto alle citazioni. Sono lo scoglio di questa gente, che ha troppo ingegno e troppa profondità, per potersi curare del gusto.

Così accade che con tanto squillare e armeggiare di scoperte, non si arrivi finalmente a trovare nemmeno una piccola conclusione o un risultato sicuro. Ci siamo messi un poco d’accordo sopra D’Annunzio, rinunciando a capirlo; e del resto non c’è altro che contraddizioni e abbagli e incertezze.

In compenso, c’è di gran dottrina, e magnificenza di drammi. Il pubblico impara, commovendosi; ma trova, qualche volta, che gli schemi di questi drammi sono un po’ monotoni, e che i personaggi non cambiano mai; sia Dante sia la Guglielminetti che dà il pretesto, son sempre quegli stessi miscugli e quei contrasti di nuovo e di vecchio, di sensualità e di cerebralità, di liricità e di storicità.

Ne viene un poco di noia, che non si può con-