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96 parte prima - capitolo xiii


del custode maggiore, e quivi trovai il commessario inquisitore di stato cavalier Vincenzo Marchese, vecchio, guercio, lindo, tutto parole melate e cortesie; e con lui un cancelliere con la penna in mano e pronto a mettere su la carta quante parole mi dovevano uscire di bocca. Il commessario incominciò un fervorino, che egli era stato amico di mio padre, che gli doleva di vedermi in carcere, che fidassi in lui, che gli dicessi ogni cosa; che gli erano errori giovanili scusabili, che forse altri mi aveva ingannato, che egli mi aiuterebbe, e tante altre dolcezze. Io l’interruppi a mezzo: «Ma posso sapere finalmente perché sono stato arrestato?» Allora egli mutando tuono: «Voi siete accusato di appartenere alla setta la giovine Italia». «Non ne so nulla: è una falsa accusa». «Conoscete voi il parroco Barbuto?» «Neppure di nome». E il cancelliere scriveva. «Conoscete il farmacista Raffaele Anastasio?» «No». «Conoscete Benedetto Musolino?» «Costui sí, perché fummo compagni a studio». «Avete scritte voi queste lettere?» «Non mi appartengono». «Eppure sono di vostro carattere». «Forse paiono, ma non sono, né io le ho scritte mai». E il cancelliere scriveva, e io gli guardavo la penna. Rispondevo secco, e pesavo le parole. «Voi siete negativo in tutto; ma il negare non giova quando ci sono molte pruove e questi documenti». «Io le vorrò vedere queste pruove». «A suo tempo le saprete». «Potrei scrivere una lettera a mia moglie, e farmi comperare coi miei denari un po’ di cibo?» Egli chiamò il custode maggiore, e dettogli non so che all’orecchio, si volse a me. «Potete scrivere la lettera ed avere il cibo: anzi anderete in una stanza migliore, ma ripensate a ciò che vi ho detto».

Fui condotto in uno dei criminali interni al numero 6, ebbi carta e calamaio, ed in presenza del custode scrissi la lettera, che non fu mandata, ed io poi la vidi nel processo dove la messero per paragonare i caratteri. Mi fu dato del cibo comperato da una taverna, e per mangiarlo ebbi un cucchiaio di legno; potei avere la biancheria, e mutarmi la camicia. La nuova stanza era piccola, coi soliti due poggiuoli, e i so-