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il carcere di santa maria apparente 95


verno sa, e che ve lo puo far dire con altri mezzi di rigore. Pensate ai fatti vostri, salvate voi e la vostra famiglia da un precipizio: gettatevi nelle braccia del commessario che vi può salvare, e ditegli la veritá che ogni galantuomo deve dire». «Vi ringrazio di questi buoni consigli». «Volete dire qualche cosa a me?» «Volete fumare, signore? mi duole che non ho sigari, ma solo pipa e tabacco. Vi ringrazio della visita, che qui vengono a visitarmi soltanto i topi che mi sguizzano tra i piedi». Quell’uomo era venuto per farmi una paura, e per tastare il terreno prima del commessario; ma come mi trovò freddo e garbato mutò pensiero, e dette alcune poche parole della stanza e del farto, mi salutò cavandosi il cappello ed andò via. «Chi è colui?» dissi al custode quando tornò. E il custode rifacendo il gesto rispose: «È una buona lana, un sergente di gendarmeria che il ministro manda per visitare i rei di stato. Se sapeste quanti figli di mamma costui nei criminali ha battuti, ha straziati, e poi fattili andar in galera! Non vi fidate neppure di me; e ricordatevi che chi confessa è inpiso». Io sorrisi e gli domandai: «Come vi chiamate?» «Io? eh! Raffaele Serio». «Serio!» «Sono nipote a Luigi Serio, poeta, che morí nel 1799 combattendo sul Ponte della Maddalena». «Ma Luigi Serio morí coi due nipoti». «Io ero terzo nipote, ed ora fo il carceriere!» Sopraggiunse il Porco, il quale avendo udito le ultime parole del custode, fece un visaccio con cui mi volle dire che colui era un bugiardo. Io pensai: «Costui mi dice una bugia per ingraziarsi con me: e perché vuole ingraziarsi con me? per buon cuore, o per tradirmi? Forse per buon cuore, ma bisogna guardarsi dal carceriere».

Erano diciassette giorni che in quell’antro io pativo freddo e fame, perché anche a mangiar tutta quella zuppa e quel pane, non si può sostentare un uomo: e la maggior pena per me era non potermi lavare altro che gli occhi e asciugarli col fazzoletto. Pure quel tempo mi giovò a farmi prendere l’aria del carcere, e saper molte cose, e pensare a rispondere. Dopo diciassette giorni scese il custode, e disse: «Venite meco dal commessario». Fui condotto nell’estracarcere nelle stanze